Un post-It attaccato al frigorifero mi riporta alla realtà: siamo qui per lavorare. Io e Ilaria. Due pseudo scrittrici, immerse nella splendida Firenze, alla ricerca di spunti per il nostro libro e per presentare, fra meno di un'ora, il nostro lavoro ad uno dei più autorevoli editori del Paese. Cammino nervosa per casa, cercando di raccogliere i ciuffi ribelli che non vogliono obbedire e che ricadono, rossi e cocciuti come me, un pò sulle spalle. Le occhiaie e gli sbuffi davanti allo specchio nel vedere il mio riflesso irriconoscibile, sono diventati il marchio di queste notti insonni. Avevo promesso ad Ilaria che questi tre giorni li avrei utilizzati per riscoprire il gusto della libertà, del prendermi cura dei miei interessi, come se fosse una cosa facile considerando che la parte migliore di me è stata deufradata.
L'appuntamento prefissato è in una lussuosa villa immersa in un parco che non posso fare a meno di ammirare dal finestrino del taxi che mi sta accompagnando con, in sottofondo, la voce allegra del tassista a farmi da Cicerone mentre mi racconta la storia della fontana immensa, posta davanti all'ingresso del caseggiato che sembra una reggia del '700. I miei occhi rincorrono le luci del viale che giocano con gli zampilli che escono da un'anfora tenuta in braccio da un bambino di un colore così bianco e brillante da sembrare un angelo.
Mi sento come Dorothy del mago di Oz, una bimba che si è addormentata in una vita fatta di delusioni e pianti e si è ritrovata in una favola dove tutto sembra nuovo e confuso.
Non so come sentirmi, cosa aspettarmi e ho quasi paura a respirare.
"Resto qui fuori a sua disposizione.... signorina?", la voce sempre gentile di Sergio, il mio tassista, in questo momento sembra essere l'unica cosa in grado di fermare le lacrime che già pungono insistenti nei miei occhi truccati a dovere.
Adoro quando a sfiorare la mia vita sono persone che riescono a travolgermi di emozioni, entusiasmo, allegria e non posso fare a meno di ringraziare, con un sorriso sincero e spontaneo, chi mi ha accompagnato.
~No, grazie Sergio, credo che me la caverò da sola....~.
Sola.
Questa parola che mi trapassa i polmoni bruciando come una lama che lacera ogni fibra del mio essere e che ripeto da una settimana, o forse da quando ho scoperto che ciò che avevo sognato non era destinato a me.
~Finalmente sei arrivata! Guardati! Sei uno schianto stasera!~. Mentre l'auto si allontana, Ilaria mi si getta letteralmente addosso, torturando i miei boccoli quasi ad accertarsi che siano veri, sistemandomi la spallina del lungo vestito da sera scelto per l'occasione, scrutandomi con occhi indagatori per leggere dietro al mio sorriso quanta autonomia mi resta prima di cadere in un'altro dei miei attacchi di panico, conditi da quei fastidiosi tremori che qualche settimana prima mi sono valsi un viaggio in prima classe in ospedale.
Luce Nera